Il rischio di sviluppare una forma di Long Covid, per chi contrae l’infezione da Covid-19, è tanto più probabile, quanto più dura l’infezione da SarsCoV2. Questo è l’assunto a cui è arrivato uno studio condotto da ricercatori dell’ IRCCS Istituto Clinico Humanitas e pubblicato sulla rivista Clinical Infectious Diseases. A frenare lo sviluppo del Long Covid, però, intervengono le vaccinazioni che sono in grado di ridurne il rischio.
A spiegare la complessità dello studio è Maria Rescigno, responsabile del laboratorio di Immunologia delle mucose e microbiota di Humanitas e pro-rettrice di Humanitas University. La dottoressa spiega che studiare il Long Covid è complesso sia per l’ampiezza delle manifestazioni, sia perché è necessario seguire le persone che hanno contratto l’infezione per settimane o anche mesi, dopo la fine dell’infezione. Allo studio hanno preso parte più di 4.500 dipendenti e operatori sanitari degli ospedali Humanitas che hanno partecipato al progetto di monitoraggio Covid Care Program. Tra loro, 441 soggetti avevano sviluppato Long Covid. Questa ricerca ha dimostrato che il dato che maggiormente influenzava l’insorgenza di Long Covid era la durata dell’infezione. Infatti il rischio di sviluppare i sintomi post guarigione era più alto di 2 o anche 3 volte tra quelli che erano stati positivi tra gli 11 e i 14 giorni, rispetto a quelli che avevano avuto l’infezione per un massimo di 10 giorni. Non solo, più era lunga la fase infettiva, più la predisposizione al Long Covid aumentava: di 4,1 volte più alto per chi era stato positivo tra 15 e 21 giorni e di 5,39 volte oltre i 21 giorni.
Se il protrarsi dell’esposizione al virus aumenta le possibilità di sviluppare Long Covid, la quantità di dosi di vaccino inoculate la riduce. Questo è quanto è stato osservato sui partecipanti allo studio. Il vaccino, infatti, riduce la durata dell’infezione e quindi anche la possibilità di insorgenza di effetti postumi. “Se il virus è presente all’interno dell’organismo per meno tempo, – conclude la dottoressa Rescigno – c’è meno rischio che la risposta immunitaria e infiammatoria scatenata dalla sua presenza si cronicizzi e dia origine a sintomi che perdurano anche in assenza dell’agente scatenante iniziale”.
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